Siamo tutti un po’ esterofili. E la solita frase “In Italia non funziona nulla” o meglio, “In Italia funziona così” (come a voler dire qualcosa che non va) è sulla bocca di molti, in particolare quando si tratta di eventi che sbarcano da noi con qualche incertezza e qualche negativo pregresso. IRONMAN ITALY è stato un po’ questo nelle attese. Chissà come sarà? Ovviamente molti stranieri (europei e non solo) non hanno avuto dubbi.. così, qualche mese fa, #IMItaly è andata sold out e molti italiani si sono trovati “fuori” dal primo evento long distance sul suolo italiano. A volte bisogna avere fiducia. Ero rimasto personalmente deluso dai grandi annunci di Roma – Civitavecchia etc. etc. Si prospettavano grandi eventi che si univano a quelli di Pescara, che ormai da qualche anno, tra alti e bassi, resisteva nella penisola. Ma poi nulla. Cervia è stato un gran evento. Sinceramente ne ero (quasi) convinto, avevo capito che dietro c’era un gran lavoro e soprattutto un team di persone valide. E così è stato.
Sono arrivato in Romagna mercoledì sera. Per me era una gara importante. La stagione non è stata delle migliori. Alti e bassi, proprio come la storia tra Ironman e l’Italia. Volevo far coincidere questo finale con una buona prova, così, ho passato i primi giorni di gata tra tensione e un po’ di stress. Un Ironman ha tante variabili già di per se, in questo caso ancora di più per il fatto di essere in Italia. Tanti amici, conoscenti, la presenza dello stand Trispecialist e un po’ di lavoro da fare anche lì. Non è stato il solito approccio rilassato alla gara. Ma forse è stato meglio così. Il fatto di aspettare a lungo una gara genera spesso ansia e tensione che non sempre è positiva. L’hotel, strategicamente posizionato sul lungomare, mi ha permesso di rientrare in camera dopo avere sistemato la bici e il materiale in zona cambio. Mancava circa mezz’ora alla partenza e sono sceso dalla camera già pronto con muta, cuffia e occhialini. Che qualità: pensando a Frankfurt dove per arrivare alla partenza devi prendere l’autobus, direi che questa è più comoda.
Un breve riscaldamento a nuoto e poi pronti a partire. Ecco. Qui un po’ di tensione c’era. Ma ho avuto modo di salutare anche alcune persone arrivate a vedere e sostenere. Il nuoto è stato facile. Tranne qualche difficoltà di traiettoria di Jurkiewicz, siamo andati regolari. Ha tirato più lui che io. Ma quando provavo a forzare e mettermi davanti lui mi ripassava, quindi l’ho lasciato fare. Curiosamente il francese si è spostato dopo ogni boa per lasciarmi passare, probabilmente faticava a vedere la successiva boa. All’uscita sapevo di avere una lunga transizione (1 KM!!!) e l’ho presa con comodo, si fa per dire. A volte queste fasi diventano cruciali e forzare troppo poteva non essere la migliore scelta. Nei primi chilometri formiamo un gruppetto con Jurkiewicz e Bock, arriva anche Degasperi. Continuiamo fino dopo il 20° e arrivano altri tre: il tedesco Timo Bracht, Koutny e il danese Bach.
Ci passa Dreitz ed è stato quasi “normale” lasciarlo andare. Aveva un altro passo e nessuno ha seriamente provato a tenere il suo ritmo. Proseguiamo regolari con qualche “divertente” menata di Bracht. Il ritmo è alto ma non impossibile e ci sto abbastanza bene (anche se qualcuno dice che il mio volto non direbbe lo stesso). Le distanze sono regolari, nessuno fa il furbo e questo è apprezzabile.
Al secondo giro siamo ancora tutti insieme. Dega prova a forzare poco prima della salita e le mie gambe si induriscono un po’. Subisco lo strappo di Bertinoro e mentre Dega prende vantaggio sul resto del gruppo io perdo qualcosa sugli altri che inseguono. Testa bassa e provo a rientrare ma il ritmo davanti è alto. Dopo poco vengo raggiunto da altri tre atleti: Vistica, Jaberg e Mueller. Rientriamo a velocità molto alta, 53×11 fisso e motore al massimo (non chiedetemi dati perché non è mia consuetudine guardarli in gara). Avevo solo il Polar al polso con l’ora. No cronometro o altre indicazioni.
Il momento di discesa dalla bici è sempre traumatico e i primi passi sono dolorosi. Ma poi è quasi sempre “miracoloso” scoprire come l’adattamento dovuto ad anni di allenamento ti permette in pochi metri di recuperare un gesto abbastanza decente di corsa. Mi prendo il mio tempo per il cambio. Nella sacca, oltre a calze, scarpe (uso le Noosa FF per i maniaci dei dettagli), cappellino e occhiali, avevo messo 8 gel one hand (12.5 ml l’uno) di cui 4 con caffeina e 4 senza. Una bottiglietta già pronta con R2 e nel taschino destro del body avevo già la scatoletta con i Salt Caps. Il mio “kit” per la corsa.
Il passo è buono, riesco a tenere una buona frequenza e sento che le energie ci sono. Sorseggio il mio R2 e proseguo il primo giro. Insieme a me c’è Matic Modic. Riesco a vedere Vistica, che però sta correndo bene e allunga. Proseguo cercando di gestire senza farmi prendere dalla foga di recuperare, anche se le sensazioni sono buone. Molti a bordo strada fanno il tifo. E la frase del primo giro di Paolino La Placa è interessante: “Sei bello.. stai correndo bene, gli altri stanno morendo.” So che non è verissimo. Ma sento che un pizzico di verità c’è. Matic allunga qualche metro ma poi lo vedo in difficoltà e lo recupero di nuovo. Al termine del primo giro vedo Fabio Vedana che ci dice: “Tre minuti dal podio” e grida qualcosa a Matic (Fabio è il suo coach). Al passaggio del primo giro il tifo del pubblico è tanto, ma non bisogna farsi prendere dalla spinta che ti danno.
La crisi è dietro l’angolo, sempre. E infatti, nel secondo giro accuso un po’, mi fermo a bere acqua e cerco di prendere anche dei gel per avere energie. Sento che forse sono un po’ disidratato e bere con più calma mi aiuterà. Dopo pochi chilometri mi riprendo e torno a correre meglio.. ma ancora un po’ lento. Alla mezza sono ancora in ottava o nona posizione, non so bene. Il Dega nel frattempo si era fermato come aveva previsto e lo vedo a bordo strada. Elena mi dà i distacchi e proseguo. La mia testa lavora e riesco a rialzare il ritmo, controllo la frequenza del passo e so che devo tenerla alta per non calare il ritmo, se cerco di spingere muscolarmente è controproducente. Il terzo giro è veloce e mi sento decisamente bene, recupero un’altra posizione e all’ultimo passaggio a Cervia vedo Elena che mi dice: “Hai 1 km dal podio e 500 m da Timo Bracht.” Istintivamente accelero. Ma poi penso.. 500 metri a questo ritmo sono 2 minuti abbondanti. Ok, stai calmo. Tengo il ritmo alto ma la stanchezza è tanta. Passo Koutny e non prova neanche ad attaccarsi. Bene. Il mio motivatore ora è Timo. A 3 km dalla fine, mentre rientro verso Cervia, vedo Niklas Quetri (che insieme ad Enrico curano la mia posizione in bici) che mi dice: “Timo sta rallentando, lo prendi!”
Accelero, ma se la mia testa sta pensando di correre fortissimo, credo che da fuori si possa pensarla diversamente, direi “fortino” per essere la fine della maratona di un Ironman! Non riesco a vedere Timo, sul percorso multi lap siamo in tanti e distinguere la sagoma del tedesco è difficile, soprattutto non avendo dei giri di boa o dei rettilinei lunghi abbastanza.
Ormai sono a 200 metri e Timo non lo vedo.. scoprirò che aveva ancora 30″, difficile prenderlo. Mi godo l’arrivo con un fiume di gente ai lati. E’ giusto omaggiare il pubblico del primo evento Ironman italiano. Sono il primo degli italiani al traguardo e la festa è grande, come lo sarà fino a mezzanotte e oltre. Saluto i miei genitori a 30 metri dal traguardo. E poi, sfinito, ricevo il bacio di Elena subito dopo aver indossato la medaglia di finisher che significa aver finito sta faticaccia. Non so ancora il tempo, ma è relativo. Perché onestamente io pensavo di esser settimo, invece Dario Nardone dice “sesto!
Meno male. I premi erano dal primo al sesto. Sarebbe stata una piccola beffa essere il primo degli esclusi. Il mio Ironman Italy finisce così.. ma continua la festa e le emozioni. Ve le racconto? No, sono già stato troppo lungo così. Ma capirete che è stato un evento da raccontare e non potevo esimermi dal farlo.